Le streghe

Lo so, non bisognerebbe pubblicare tutto e tutto insieme, ma io così sto messa, scrivo e metto a posto quando posso, se una cosa mi ha insegnato la maternità è che chi ha tempo non aspetti tempo, una febbre un vomito un impedimento una catastrofe un disastro naturale un’esplosione atomica è sempre in agguato. Bisogna darsi di verso.

Insomma oggi ho letto questo articolo, e subito l’ho girato alle mie amiche più vicine, che conoscono Shirley Jackson, la potenza della sua scrittura e anche la sua vita infelice, la sua malattia mentale.

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Rimandi

Ogni famiglia ha i suoi segreti, anche quando fa finta di non averne. A casa mia per dire abbiamo tutto in spazi condivisi, e mail e whatsupp aperti sui pc -sul MIO pc, per la precisione, ma questa è un’altra storia, e in questa libertà abbiamo anche un GoogleFoto condiviso.

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Domani ci siamo.

In questa foro un cartello puntinato su un portone incocciato sulla strada del ritorno dal lavoro. Una strada che non faccio mai, di solito. L’ho visto, mi sono fermata, l’ho guardato e riguardato. E se anche loro, che sono addirittura in Vaticano -per lavoro come dice l’inciso in rosso- domani ci saranno, mi tocca esserci pure a me, mi son detta, che oggi sì ho fatto cose, ma in Vaticano non ci son mica andata.

Stanotte in questa casa si è dormito pochissimo. Verso le tre Ettore si è presentato in camera, è andato da Rino e gli ha detto: Babbo scusami se ti disturbo, ma avrei un po’ di mal di testa, magari posso stare un po’ qui con voi. Io ho aperto un occhio e ahia ho subito pensato. Un certo linguaggio forbito e le pause giuste, a una certa ora di notte, significa solo una cosa: febbre. E mentre l’orribile padre gli rispondeva qualcosa del tipo Ettore tornatene a letto, è tardi e domani devi andare a scuola, io a tentoni al buio già pensavo alle due t, termometro e tachipirina. Ok, ho pensato, che inizino le danze.

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Pictures of you

Andiamo a vedere i Cure?, mi ha chiesto Rino. Sono a Firenze, l’anno prossimo.

Gli ho risposto di no, come sempre in questi casi. Non vado mai a vedere i concerti dei morti, ai concerti dei morti si va solo per cercare i sé stessi di tanti anni prima, e io diffido della pratica dell’archeologia nostalgica.

Poi oggi mi capita per caso di riascoltare questa canzone

If only I’d thought of the right words
I could have held on to your heart
If only I’d thought of the right words
I wouldn’t be breaking apart
All my pictures of you

e allora penso di avere ragione, molta ragione, e penso anche che Robert Smith, in fondo in fondo, la pensa come me.

Perdere l’urlo.

Ieri ho perso il controllo.

Che poi anche ad analizzare l’espressione, perdere il controllo, io che detesto i modi di dire, le frasi fatte, i percorsi già tracciati e i tramonti infocati e le albe livide -si veda a tal proposito il post precedente-, che poi finisce che mi chiedo: ma che espressione del cazzo. Perdere il controllo. Che presuppone che il controllo ce l’abbiamo sempre, che è quella la condizione giusta per questa nostra vita, avere il controllo e tenerlo al guinzaglio, come un cane riottoso, uno di quegli orrendi mastini sbavosi che si tirano in avanti come se ad ogni passo dovessero piantarsi a terra, che poi dove vuoi che volino, con quel fisico là che si ritrovano.

Qualcuno ha mai spiegato la gravità a un molosso?

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