La foto

Fino a quando c’è stata, sono sempre andata al cimitero con Nzina. Ci andavamo nel giorno dei morti, insieme a tutti gli altri, quando la statale che esce dalla città verso la collina diventava una fila ininterrotta di auto, e quella di mio padre fra quelle.

Nzina era la zia di mia madre, la sorella di mia nonna Lucia, ma per tutta una storia un po’ complicata o forse maledettamente semplice, era la figura femminile anziana presente in casa nostra da parte di mia madre.

Quando ancora abitavamo in Sardegna le scrivevo delle lettere, niente di che, credo, ricordo solo di quella volta che mi misi d’impegno a scrivere il suo indirizzo, con le N grandi e voluttuose dei bambini alle prime classi elementari. Nonna Nzina, avevo scritto sulla busta, e questo allora aveva costretto mia madre a spiegarmi, che non era proprio la mia nonna nonna, ma io avevo proseguito dritta. Vuol dire che, essendo una bambina veramente speciale (e chi poteva affermare del resto il contrario?), avevo tre nonne e due nonni, cinque in tutto, altro che storie.

Nzina non aveva figli, ed era rimasta vedova molto presto. Suo marito Iano, la cui fotografia troneggiava sul comò della sua camera da letto, era morto a quarant’anni, credo di cancro. Su di lei mi vengono in mente decine di aneddoti, era in qualche modo l’essenza di un certo modo di essere del sud, un’ironia mescolata a ribellione e una certa dose di disfattismo che la rendeva speciale, che ce la fa ricordare sorridendo anche adesso, che sono passati così tanti anni dalla sua morte.

Per il giorno dei morti andavamo al cimitero. Mio padre ci lasciava all’ingresso, non so se andasse via per passare a riprenderci dopo, oppure ci aspettasse in macchina. Se devo immaginare, me lo immagino seduto in auto, il sigaro in bocca, il giornale aperto sullo sterzo.

Noi comunque entravamo da sole. Prima di entrare Nzina comprava un mazzo di fiori, e subito me ne dava qualcuno, per lasciarli davanti alle tombe dei più sfortunati, quelli che nessuno andava a trovare. Poi si dirigeva verso la tomba di Iano, con me dietro. Verso la tomba sua e di Iano, a dire la verità, perché lei, donna accorta, alla morte del marito si era subito assicurata il posto accanto al suo, e poi, in un impeto che ancora devo comprendere, ci aveva messo anche la foto. Lei diceva che era perché era morto giovane, ed era così bello in foto che lei non poteva sopportare di essere poi accanto a lui vecchia e brutta come era adesso, e così ci aveva messo una foto dell’epoca. A me questa spiegazione non mi ha mai convinta del tutto, in fondo poteva lasciare a noi una sua foto da giovane, e avremmo messo noi quella, una volta che fosse morta.

Invece no. La sua foto, di una Nzina giovane, stava là, al cimitero, da decenni, accanto a quella di Iano giovane. Se dovessi romanzarla, mi verrebbe da dire che in qualche modo, alla morte del marito, del marito dal quale non aveva avuto figli (e questa la rendeva forse anche più tagliente nei confronti della sorella, che i figli li aveva avuti e li aveva invece abbandonati), in qualche modo mi verrebbe da dire che era morta anche lei, e che si era voluta seppellire così, seppur metaforicamente, facendosi dagherrotipo prima del tempo.

In ogni caso, visto che era una donna piena di meravigliose contraddizioni, questo suo afflato verso la morte, che forse aveva dentro, era bilanciato da molte altre cose. Una di queste era la furia con cui reagiva quando arrivavamo alla tomba di Iano e trovava dei fiori. Già, perché visto che andavamo al cimitero una volta all’anno, poteva capitare che qualcuno avesse lo stesso sentimento che aveva lei, quando mi consegnava i fiori da mettere ai poveretti senza un parente. Che qualcuno quindi vedesse quella tomba spoglia e lasciasse un crisantemo, o più frequentemente un garofano. Anzi due: uno sotto la foto di Iano, una sotto la foto sua. E lei allora si infuriava: Sugnu viva, borbottava pulendo il marmo e strappando le erbacce, e a nulla valevano i tentativi di farla ragionare: Nzina ci hai messo la foto, è normale che chi passa pensi che tu sia morta.

Niente. Lei si infuriava, e puliva tutto attorno, e a me veniva molto da ridere, mentre me ne andavo in giro a distribuire fiori ai morti senza parenti, forse morti veramente, forse invece come lei, morti solo per finta. Forse è per questo, forse è per quelle giornate con lei, che i cimiteri non mi fanno paura, anzi, mi piacciono sempre molto.

[di Nzina non ho foto. la prima volta che torno a casa dei miei ne cerco una e me la metto qua, insieme alle mie foto di famiglia]

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vgalletta

Nata e cresciuta a Siracusa, ha trascorso parte dell'infanzia a Ozieri, in Sardegna, e da anni vive a Livorno. È laureata in ingegneria civile idraulica a Catania, materia in cui ha conseguito anche un dottorato di ricerca, e ha lavorato come ingegnere idraulico prima di intraprendere la carriera di scrittrice a tempo pieno. Ha scritto numerosi racconti pubblicati su riviste e quotidiani. Nel 2013 il monologo "Sutta al giardino" le è valso il premio per monologhi teatrali “Per Voce Sola” del Teatro della Tosse di Genova. Nel 2017 il suo romanzo inedito "Pelleossa" è arrivato tra i finalisti della III edizione del premio Neri Pozza. Con il romanzo "Le isole di Norman", già finalista alla XXVIII del Premio Calvino, ha vinto il Premio Campiello Opera Prima 2020. Il suo romanzo "Nina sull'argine", uscito a ottobre 2021 per minimum fax, è tra i 12 libri candidati al Premio Strega 2022.