Appunti sparsi

fatti un bagno. il primo giorno di mare

ieri siamo stati per la prima volta al mare, a quell’ombrellone sotto al quale – intorno al quale – cerco stabilità. è stato un esperimento – primo – dello scorso anno, andare al mare la mattina e poi su quello organizzare la giornata. è andata bene, e allora anche quest’anno abbiamo ripetuto. come dice il dottore, andare al mare la mattina mi aiuta nella stabilità e io allora eseguo. mi consente di stare alla luce, di stare all’aperto, di non rimandare le giornate in casa alla ricerca di qualcosa non so cosa. non è facile essere me, non è facile essere nessuno certo questo lo so, ma io me conosco, e di me posso parlare. essere me è vivere spesso lontano da quello che si vorrebbe fare. è fare delle cose perché sai che poi stai meglio. uscire di casa presto, non preoccuparsi dello stato in cui si è.

andare al mare.

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anche se non se ne accorge subito: tornare indietro, per andare avanti

e quindi rieccomi, dopo tempo. il mio ultimo pezzo qui sopra, il mio ultimo appunto sparso è del 22 ottobre. dicevo di non avere tempo, direi che nulla è cambiato in questi miei 2410 giorni di silenzio. cosa ho fatto in questi giorni? beh, potrei dire di essere andata a letto presto, ma sarebbe una battuta, e per di più anche poco vera. diciamo, al contrario, che sono andata a letto molto più tardi di quanto avrei desiderato, se così possiamo chiamare l’aver perso tempo e a volte direzione. per questo torno qua. per appuntare, e poi ritrovare. per lo stesso uso che ho fatto per tanto sul social quello blu, e che ora non ritrovo più.

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Le streghe

Lo so, non bisognerebbe pubblicare tutto e tutto insieme, ma io così sto messa, scrivo e metto a posto quando posso, se una cosa mi ha insegnato la maternità è che chi ha tempo non aspetti tempo, una febbre un vomito un impedimento una catastrofe un disastro naturale un’esplosione atomica è sempre in agguato. Bisogna darsi di verso.

Insomma oggi ho letto questo articolo, e subito l’ho girato alle mie amiche più vicine, che conoscono Shirley Jackson, la potenza della sua scrittura e anche la sua vita infelice, la sua malattia mentale.

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Rimandi

Ogni famiglia ha i suoi segreti, anche quando fa finta di non averne. A casa mia per dire abbiamo tutto in spazi condivisi, e mail e whatsupp aperti sui pc -sul MIO pc, per la precisione, ma questa è un’altra storia, e in questa libertà abbiamo anche un GoogleFoto condiviso.

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Domani ci siamo.

In questa foro un cartello puntinato su un portone incocciato sulla strada del ritorno dal lavoro. Una strada che non faccio mai, di solito. L’ho visto, mi sono fermata, l’ho guardato e riguardato. E se anche loro, che sono addirittura in Vaticano -per lavoro come dice l’inciso in rosso- domani ci saranno, mi tocca esserci pure a me, mi son detta, che oggi sì ho fatto cose, ma in Vaticano non ci son mica andata.

Stanotte in questa casa si è dormito pochissimo. Verso le tre Ettore si è presentato in camera, è andato da Rino e gli ha detto: Babbo scusami se ti disturbo, ma avrei un po’ di mal di testa, magari posso stare un po’ qui con voi. Io ho aperto un occhio e ahia ho subito pensato. Un certo linguaggio forbito e le pause giuste, a una certa ora di notte, significa solo una cosa: febbre. E mentre l’orribile padre gli rispondeva qualcosa del tipo Ettore tornatene a letto, è tardi e domani devi andare a scuola, io a tentoni al buio già pensavo alle due t, termometro e tachipirina. Ok, ho pensato, che inizino le danze.

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